Se vi dicessi che tutto è iniziato con una semplice dormita?
Pensavo di dormire.
Invece stavo morendo.
Partiamo dal principio: era la notte tra il 30 ed il 31 ottobre, il giorno più
bello e felice dell’anno, per me. Il giorno del mio compleanno. Molti
pensano che sia uno scherzo quando lo dico, ma non è così, e
personalmente ci rimango anche male. Perché, per forza, bisogna
nascere il giorno del Ringraziamento, o a Natale, oppure il giorno di
Pasqua? Io sono nata ad Halloween e, so che è difficile da credere, ma a
mezzanotte del 30 ottobre, il che mi rende ancora più particolare.
Quella sera ero andata a letto con un macigno stretto nello stomaco e
mi domandavo se fosse perché avevo preso un cinque in matematica, o
perché mamma aveva preparato la zuppa con i broccoli che sapeva
odiassi. Passai una notte infernale, a girarmi e rigirarmi nel letto, fino a
ché diventò mattina. Era freddo, troppo, per i miei gusti e la colazione
era servita in tavola. Mamma e papà avevano uno sguardo preoccupato
ed un po’ inquietante, nella nostra casa non c’era mai stato così tanto
silenzio. “Dobbiamo parlarti.” Quelle parole non portavano mai a nulla
di buono. “Da oggi cambierai scuola. Sei diventata grande, e meriti di
sapere ciò che sei…” il discorso proseguì per una buona mezz’ora, e,
ad ogni parola che mia madre pronunciava, vedevo la nebbia, fuori dalla
finestra, addensarsi. Nel paesino dove vivevo io, le storie di mostri erano
all’ordine del giorno. Solo il suo nome non suonava come un caldo
benvenuto: “Fearland”. Il suo inventore poteva essere solo Dracula, o
Frankenstein, o peggio ancora, l’intera famiglia Addams. Alla fine
dell’appassionante discorso, scoprii che tutte le storie, anche le più
dolci, hanno un lato oscuro. Ero una strega. io, Corinna Knightley, ero la
discendente di una stirpe lunga quanto un papiro di malefiche megere.
La mia vita sarebbe stata un susseguirsi di orrori. Quella mattina uscii,
e per le strade non c’erano più i soliti abitanti sempre allegri, ma dei
mostri, veri mostri. Un gatto nero attraversò la strada, facendo dirottare
un’auto fuori dalla corsia. Rimasi allibita davanti allo spettacolo
orripilante che ne seguì. Mi bastò vedere una mano uscire dall’auto
accartocciata per capire che i miei genitori non erano pazzi, e che la mia
nuova vita era un bellissimo incubo.
La nuova scuola era allo stesso
posto di quella precedente, ma la pioggia ed i tuoni rendevano il tutto più spettrale. Una ragazza mi passò a fianco spingendomi volontariamente. Mi voltai per osservarla meglio ed urlai. Un occhio solo si trovava nel mezzo della sua fronte ed i capelli arruffati erano fucsia. Lo stemma della scuola era un corvo, lo stesso che, notai, mi
seguiva da quella mattina. Varcata la soglia una serie di mostri dagli
aspetti più inquietanti osservavano me. Normale. Le pareti della classe
avevano delle strane macchie rosse che colavano, doveva essere
sangue. Prima che potessi sedermi un tonfo sordo. Un osso spezzato.
Una scintilla. Una sostanza verde. E poi, un mio nuovo compagno di
classe era senza la testa. E tutti ridevano. Era troppo, scappai. Prima
che potessi uscire, il portone nero da cui ero entrata si bloccò, ed una
voce roca, cavernosa, di donna mi fermò il battito. “CHI ABBIAMO
QUI?” Non risposi, non avevo le parole, “TU NON MERITI DI STARE
QUI!” Le pareti si sgretolarono leggermente, sentivo che stavo per
morire, ero troppo vicina al limite di sopportazione. “COME TI SEI
PERMESSA DI VENIRE QUI? NON SEI DEGNA!” Era la preside Alberta
Whitenorn, una vampira sanguinaria, che lasciava poco
all’immaginazione riguardo alla sua crudeltà. Uscì dall’ombra, con i suoi
occhi senza pupilla, uno sguardo vitreo, ed il dito puntato. Rise
amaramente della mia paura, “TU NON MERITI DI CONSCERE.” Un
colpo al petto e poi niente. Ero morta.
La sveglia suonò. La sveglia!? Ero viva, sentivo il mio corpo, sentivo le
mie ossa. Fuori dalla finestra il sole splendeva. Saltai in piedi e corsi a
perdifiato giù per le scale. Mamma stava parlando al telefono, e mi
sorrise. “Buon compleanno, tesoro.” Me lo sussurrò, ma bastò per farmi
tremare. Era stato tutto un sogno. Era chiaro. Mi ero immaginata tutto.
Tutti i dettagli. Sembravano così veri. Tornai a respirare, e con un
sorriso divorai la colazione. Salita in camera per vestirmi, frugai
nell’armadio ed una piccola piuma nera mi scivolò davanti al naso.
Maria Tea Santagiustina ICE